La nostra Storia

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“Qualunque sia il bambino che state aspettando, siate sicuri di essere pronti ad amarlo.”

L’associazione Cat Eye Syndrome International (CESI) è co-fondata da Sylvie Renault e Alessandro Mocci.

Il 14/08/2012 Io, Sylvie,  e Alessandro scopriamo che il piccolo che stavamo aspettando era affetto da un raro disordine cromosico, una tetrasomia parziale del cromosoma 22q11.2 e che questo disordine viene associato alla Schimid – Fraccaro Cat Eye Syndrome.

Il bambino immaginato, il figlio perfetto che qualunque genitore ingenuamente porta nel cuore, si scontrava improvisamente e brutalmente con la realtà.

Il panico prende il sopravvento e le 80 ore più lunghe della nostra vita hanno inzio.
Un conto alla rovescia dettato dal fatto che il 17/08/2012 era la data ultima per un’eventuale interruzione terapeutica della gravidanza e qualunque decisione andava presa entro quel termine.
Ma come si fa a prendere a decidere una cosa del genere in soli 3 giorni?
Dopo un’approfondita chiacchierata con il genetista dell’Istituto Mendell, dott. Ferraris, che ci aveva seguito, lo stesso ci mette in contatto con un professionista che potesse eseguire la sera stessa una morfologica approfondita per capire bene la situazione che avevamo davanti.
Si, perché questa sindrome, oltre ad essere molto rara, è anche molto variabile, e la porzione di materiale genetico duplicato non era sufficiente ai genetisti per dirci quali problematiche avrebbe avuto nostro figlio.
Il genetista ci parla approfonditamente di tutte le variabili della sindrome, ma le percentuali diventano solo numeri probabilistici nella nostra testa.
Niente di quello che ci viene detto riesce a darci lo spessore reale di quello che avrebbe veramente potuto essere.
Facciamo la prima morfologica, ma non tutto si riesce a vedere, il macchinario ecografico non è pessimo, ma neanche dei migliori, e questo lo avremmo scoperto solo due giorni dopo.
Mentre le ore di veglia si sostituivano a quelle di sonno, cercando su internet ogni informazione possibile, ci imbattiamo solo in letteratura medica internazionale, inglese, americana, brasiliana (fortuna che Alessandro parla 5 lingue!!!)… e tutto quello che leggiamo è devastante.
Niente che ci dia la speranza di una vita normale per nostro figlio.
Tra un pianto di disperazione e un momento di lucidità decidiamo di andare all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (OPBG): vogliamo sapere cosa comporti veramente per queste piccole creature affrontare tutte queste operazioni causate dalle molteplici malformazioni che potrebbe causare la Sindrome e decidiamo che sono in un ospedale pediatrico come quello avrebbero potuto darci una risposta.
Vogliamo sapere se saremo in grado di affrontare tutto quello che aspetta nostro figlio, se saremo in grado di accettarlo con amore e che grado di sofferenza dovrà il nostro piccolo sopportare per sopravvivere e queste risposte non potevano che venire da un’ulteriore scontro con la realtà ospedaliera.
All’OPBG vaghiamo come spettri non sapendo che porta bussare e le bussiamo a caso infatti.
E’ ferragosto e l’ospedale è semivuoto, ma i nostri sguardi in cerca di una luce inteneriscono e riusciamo a trovare una dottoressa che ci aiuta.
Buffo che tra tutti non ricordi proprio il suo di nome.

La dottoressa lavora in Terapia Sub Intensiva e di casi di malformazioni multiple ne ha visti tanti, ma non conosce la Cat Eye, come nessun altro del resto.

E’ molto disponibile e rassicurante e ci organizza un summit di medici ed esperti con cui parlare per il giorno successivo, il 16 agosto, tra cui un’altra morfologica approfondita.

Nel frattempo continua la nostra disperata ricerca di informazioni e possibilità di approfondire lo stato di effettiva salute del nostro piccolo e giriamo molti ospedali della capitale in cerca di una qualche risposta, ma le persone im cui ci imbattiamo sono dure e sembrano non darci alcuna speranza. Molti ci dicono che le risposte che cerchiamo non le avremmo mai trovate e che avremmo fatto meglio a metterci l’anima in pace e decidere di interrompere la gravidanza.
E questo atteggiamento ci porta comunque a fare i colloqui preliminari di rito per l’eventuale interruzione.
Ma ogni volta che parliamo con un abortista desideriamo fortemente tenere il nostro piccolo, cosi’ come desideriamo il contrario nell’istante in cui ci ritroviamo a parlare con un antiabortista.

Per noi non è una questione di dogma, né in un senso né nell’altro.
Abbiamo solo bisogno di sapere e capire per poter affrontare quello che la vita ci sta chiedendo di affrontare.

E per fortuna le risposte hanno cominciato ad arrivare!
La notte di Ferragosto troviamo su internet un sito dedicato ai disordini genetici del cromosoma 22 (www.c22c.org) dove finalmente troviamo informazioni riguardo alla CES differenti, ma soprattutto troviamo il link a un gruppo facebook di persone e genitori di persone affette dalla sindrome.
Da quel momento in poi il gruppo è diventato il nostro punto di riferimento principale.
Sul gruppo vediamo foto, leggiamo storie, ci confrontiamo.
Scopriamo che la sindrome non è cosi’ mostruosa come viene dipinta in letteratura.
Conosciamo molte persone affette dalla sindrome senza alcuna sintomatologia fenotipica e scopriamo invece anche che qualche bimbo non ha superato il mese dopo la nascita.
La sindrome è davvero varia e più tempestivamente si interviene sulle varie problematiche e più facilmente si permette ai piccoli uno sviluppo normale e coerente rispetto alla propria età.
Certo, i casi estremamente gravi esistono, ma sono la rarità nella rarità.
Le speranze si moltiplicano nel nostro cuore.
Il bambino immaginato fa pace con il bambino reale che si trova nella pancia e sempre più decisi di sapere e capire andiamo il 16 agosto all’incontro con gli esperti dell’OPBG.
Come prima cosa parliamo con la genetista.
Credevamo di sapere già tutto, ma l’informazione più importante che ci mancava era la grande differenza tra un genetista clinico e uno di laboratorio.
Per quanto il genetista dell’Istituto Mendell sapesse tutto quello che c’era da sapere sulla sindrome, la genetista dell’OPBG conosceva personalmente quasi tutti i casi di CES in Italia, confermando le stesse esperienze che i genitori del gruppo su facebook ci avevano già passato.
La morfologica che facciamo poi all’OPBG ci stupisce ulteriormente.
Nessun macchinario ecografico fino a quel momento era stato in grado di vedere tanto, nessun operatore aveva avuto la capacità di raccontarci tanto di nostro figlio.
Perché davvero la macchina da sola non basta e l’operatore che la governa fa la differenza.
Scopriamo quasi ogni dettaglio di nostro figlio.
Come prima cosa vediamo quello che tutti gli altri ci avevano detto fino a quel momento che non avremmo potuto scoprire mai se c’era o non c’era: l’ano.
Certo non possiamo sapere se è collegato, ma c’è, è formato e questa per noi è già una grande notizia.
Vediamo gli occhi, il nervo ottico, le orecchie formate, il cuore, con le sue 4 camere, le polmonari pulsanti… ma anche un rene multicistico probabilmente non funzionante e alcuni disformismi minori di alcune vertebre.
Comunque la situazione per nostro figlio era affrontabile, sicuramente compatibile con la vita, anche se avesse dovuto affrontare qualche intervento, cosi’ come è poi stato.
Perché per quanto approfondita e accurata, un’ecografia morfologica racconta sempre la porzione visibile attraverso la pancia della mamma.
E alcuni particolari infinitamente piccoli possono rivelarsi diversi da quello che sembrano.
Abbiamo deciso di tenere Noel perché l’esperienza passata in quelle 80 ore, le persone che abbiamo incontrato nel bene e nel male, ci hanno dato la possibilità di capire l’amore che serbavano nel nostro cuore per quel piccolo e che qualunque situazione sarebbe stata in un modo o nell’altro affrontabile.
Non eravamo soli.
C’era un gruppo di persone nel mondo e nella nostra città pronte a starci accanto.

Noel è nato con un difetto cardiaco maggiore, Ritorno Polmonare Venoso Anomalo Totale (TAPVR), che non era materialmente possibile capire attraverso la morfologica e con un rene multicistico cosi’ come ci aspettavamo.
E’ stato operato al cuore a 20 giorni di vita, il rene non ha mai funzionato, ma l’altro lavora egregiamente per entrambi.
Ha avuto diverse infezioni delle vie urinarie perché pare che le persone affette dalla CES siano particolarmente propense a prendere infezioni delle zone “toccate” dalla sindrome stessa.
Ma a parte questo è un bambino bellissimo, dolcissimo e intelligentissimo che affronta la vita con coraggio e una forza davvero unica… direi comune solo agli altri CES KIDS che abbiamo conosciuto.

Questa estate poi è successa una cosa.
Una mamma, esattamente come me l’anno precedente, si è iscritta al gruppo e ha iniziato a fare domande ai membri per comprendere meglio la sindrome e se stessa.
Perché quando nel grembo il bimbo che porti non è più quello immaginato la prima cosa che ti chiedi è se sarai in grado di amarlo per quello che realmente è, per questo hai bisogno di capire come sarà.

Lei amava profondamente il suo piccolo, si capiva da come ne parlava, ma non ce l’ha fatta a tenerlo.

Nel paese in cui si trovava non era possibile operare il difetto cardiaco di cui era affetto il piccolo.
Avrebbe dovuto trasferirsi mesi prima della nascita e molti dopo in Germania, restando da sola ad affrontare tutto in un paese straniero, perché il compagno e nessun altro avrebbe potuto stare al suo fianco cosi’ a lungo.
Psicologicamente ed economicamente tutto questo per lei non era affrontabile.
E per non vederlo morire, il suo bimbo non è mai nato.

Le sono stata molto accanto in quei giorni cercando di passarle le stesse emozioni che mi avevano motivato un anno prima e questa esperienza è stata per me fulcro focale nella decisione della fondazione di questa associazione.
Mi sono resa conto che se io e Alessandro non avessimo incontrato tutte le persone che si sono susseguite sulla nostra strada in quei giorni, se non avessimo avuto la fortuna di vivere in Italia, nello specifico a Roma dove si trova uno dei più grandi centri di cardiochirurgia pediatrica, probabilmente la nostra scelta non sarebbe stata la stessa.

Perché purtroppo di fronte all’assenza di assistenza medica e la possibilità economica di sostenerla, l’amore non basta.

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